Dove le strade non hanno nome

È affascinante, eppure profondamente inquietante, come si possa determinare la religione e il reddito di una persona semplicemente conoscendo la via in cui abita, l’indirizzo diventa una diagnosi sociale, un’etichetta non richiesta, un marchio invisibile che comunica chi sei e cosa puoi aspettarti dalla vita, non tanto per ciò che fai, ma per dove dormi la notte.
Questo meccanismo non è nuovo, ha radici antiche, già nell’antica Roma le classi sociali erano chiaramente distribuite nello spazio urbano, i patrizi abitavano nei colli, tra ville con vista e giardini privati, mentre i plebei si affollavano nelle insulae fatiscenti, dove il fuoco, le malattie e la miseria erano compagni quotidiani, era una geografia del privilegio, disegnata con precisione crudele.
Nel Medioevo, la religione e la ricchezza si intrecciavano nei quartieri delle città europee, dove le comunità ebraiche venivano confinate nei ghetti, spesso murati e chiusi con cancelli durante la notte e, nel frattempo, i nobili occupavano le zone centrali, vicino ai luoghi del potere, mentre i contadini, i lavoratori, gli “altri”, stavano ai margini, sia fisicamente che simbolicamente.
Nell’epoca coloniale, lo schema si è solo evoluto, diventando ancora più sofisticato, nelle città dell’India britannica gli europei vivevano nei “white towns”, zone ben pianificate, pulite, verdi, mentre gli indigeni erano relegati ai “black towns”, congestionati e ignorati, la distanza tra un quartiere e l’altro non era solo geografica, era politica, razziale, morale.
Nel Novecento, questo sistema ha assunto forme moderne, legali, apparentemente neutre, negli Stati Uniti, con le “redlining maps”, si disegnava letteralmente dove le banche potevano, o non potevano, concedere mutui, escludendo intere comunità nere dalla possibilità di possedere casa, creando quartieri-ghetto destinati al degrado, e quartieri “buoni” blindati dalla finanza, e questa segregazione economica ancora oggi detta legge nel prezzo delle case, nella qualità delle scuole, nella presenza della polizia.
E oggi, nel pieno della nostra epoca “illuminata”, il principio non è cambiato, solo il linguaggio è diventato più ipocrita, oggi parliamo di “zone emergenti”, di “quartieri in trasformazione”, di “riqualificazione urbana”, termini eleganti per dire che i ricchi stanno tornando a prendersi quello che avevano lasciato, e i poveri vengono spinti fuori, di nuovo, sempre più lontano, dove il trasporto pubblico è scarso, i servizi sociali inesistenti, e le opportunità evaporano come pozzanghere al sole.
Ci raccontiamo di vivere in un mondo aperto, dove il merito conta più del contesto, ma poi ci affrettiamo a controllare il CAP di chi ci scrive, la scuola dei suoi figli, la distanza della sua casa da un centro commerciale o da un parco, l’indirizzo è un filtro, uno strumento di giudizio rapido, e nella maggior parte dei casi, definitivo.
Ogni città è una versione sofisticata del sistema delle caste, camuffata da “urbanizzazione”. Le differenze tra i quartieri non sono solo estetiche o funzionali: sono segnali. Linguaggi. C’è chi vive nel centro storico restaurato, tra boutique e librerie indipendenti, e chi sta ai margini, dove anche il cemento è stanco e la notte arriva prima.
È qui che la topografia diventa ideologia. Le strade si trasformano in confini simbolici. Alcune sono protette da siepi alte e videocamere, altre da un senso di abbandono così denso da scoraggiare qualsiasi passante. Ma entrambe, a modo loro, escludono.
Il cinismo vero, però, sta nel fatto che questa logica non ci scandalizza. La accettiamo. La interiorizziamo. Addirittura la insegniamo: “Non passare da quella zona”, “In quella via non ci vivrei mai”, “Lì il valore immobiliare è sceso”. E mentre fingiamo di essere ciechi al contesto sociale, lo usiamo come parametro principale per giudicare.
Sognare un mondo dove le strade non abbiano nome, e quindi non abbiano connotazioni, pregiudizi, etichette, è un gesto rivoluzionario solo perché toglie potere al nostro bisogno di classificare. È un rifiuto della cartografia del privilegio. Ma è anche una fantasia che si infrange sul primo cartello stradale, sul primo codice postale, sulla prima occhiata giudicante.
Perché, in fondo, ci piace sapere dove siamo... ma soprattutto dove stanno “gli altri”.

Fr.Ammenti

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