Eco dell'incanto
Umberto Eco, il grande affabulatore. Sì, proprio lui, che riesce a infarcire anche le discussioni più astruse e pedanti di racconti di cani, gatti, unicorni e altre assurdità. "Kant e l'ornitorinco"? Sì, teoricamente un saggio sulla semiotica e la conoscenza, ma diciamocelo: un’ennesima scusa per intrattenerci con aneddoti apparentemente illuminanti che vanno dal ridicolo all’inevitabilmente inutile. Eco stesso lo sa bene, del resto, che raccontare storie può spaziare dalla più spudorata menzogna fino a una verità così abbellita da sembrare ancora più "vera" – e chi meglio di lui sa come maneggiare queste sfumature?Ma facciamo attenzione: questa non è roba da bar. Eco non si limita a sfornare aneddoti per alleggerire la mente. No, no, qui si tratta di un esercizio colto e preciso. Una narrazione, sì, ma misurata e intelligente, come solo chi ama ostentare il proprio sapere riesce a fare. Certo, ogni tanto ci casca anche lui e, tra un refuso e l’altro, emerge quella figura tanto amata di "simpatico divagatore-cacciaballe". Basta leggere una delle sue "Bustine di Minerva", dove i presunti refusi in "Kant e l’ornitorinco" vengono messi in ridicolo già nel titolo: "Atenzione. Questo titolo contiene tre erori". Grazie Eco, ma un po’ meno divagazioni da bibliofilo annoiato, e un po' più sostanza, non farebbero male.
E veniamo all'ornitorinco. Povera creatura, ridotta a emblema del caos concettuale che Eco sembra volerci propinare. Un animale che sfida ogni categoria: mammifero, ma che fa le uova; becco d’anatra, ma che respira aria. Insomma, sembra fatto con pezzi di ricambio. Borges, da vero genio, l’aveva definito "orribile", ma no, Eco deve ovviamente contraddirlo: "prodigioso", dice, "provvidenziale". Provvidenziale, perché? Per costringerci a rivedere le nostre teorie della conoscenza, a quanto pare. E così, l'ornitorinco diventa l’ennesimo pretesto per Eco di farci rimbalzare tra Kant e schemi cognitivi, giusto per farci sentire sempre un po’ più ignoranti di quanto pensassimo.Attenzione! Questa non è solo filosofia. È anche un po’ di biologia per dilettanti e, come sempre, Eco ci conduce in una "lunga negoziazione" scientifica che sembra uscita da un circolo accademico di provincia. Ci racconta come gli scienziati hanno discusso per decenni su cosa fosse davvero l’ornitorinco, come se non avessero niente di meglio da fare. E così, da questa diatriba zoologica, impariamo che i nostri concetti quotidiani – cane, gatto, tavolo, sedia – non sono altro che frutto di lunghe trattative culturali. Grazie Eco, per averci spiegato che, forse, siamo tutti un po’ rinoceronti che vedono unicorni.Ma c’è di più. Eco, con il suo piglio di semiologo infallibile, ci tiene a precisare che il mondo, con i suoi fatti testardi, interagisce con le nostre categorie e schemi, spingendoci a correggere le nostre interpretazioni. Ecco la morale dell'ornitorinco: i fatti contano, ci piaccia o no. E per quanto si possano fare acrobazie interpretative, Eco ci tranquillizza: un testo può essere interpretato in molti modi, ma non infiniti. Per esempio, per quanto sia confuso, nessuno ha mai detto che l’ornitorinco abbia le ali. Grazie ancora, Eco, per questo prezioso contributo alla lotta contro il relativismo contemporaneo.Arriviamo così al "realismo contrattuale", la sua ultima trovata per prendersi gioco dei culturalisti e relativisti di un tempo. Un concetto che Eco difende con un tono di superiorità sufficiente a far invidia a qualsiasi filosofo. Quasi trent’anni dopo, "Kant e l’ornitorinco" resta una miniera d’oro per chi vuole sentire Eco divagare tra nozioni cognitive, Kant, Quine e Putnam. Ma diciamolo chiaro: il vero prodigio qui non è l'ornitorinco, è Eco stesso, che è riuscito a farci credere che parlare di un animale così improbabile fosse in qualche modo essenziale per la comprensione della nostra conoscenza del mondo.
In fondo, il gioco di Eco è sempre stato questo: incantarci con le sue storie, anche quando non ci servono a un bel nulla.
Fr.Ammenti
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