Il teatrino del cambiamento
Oggi, mentre i riflettori si accendono su Piazza San Pietro, un evento di natura universale si trasforma nell'ennesimo spettacolo mediatico. Il funerale di Papa Francesco, nonostante l'apparente sacralità del rito, è la solita rappresentazione della finzione che ci trascina da secoli. Un Papa muore, e la gente si raduna, il mondo si ferma, i leader si accalcano per un’ora di visibilità sotto il cielo romano, ma la sostanza? La sostanza è che nulla cambierà. O almeno, nulla che davvero importi.
La morte di Papa Francesco, a ben vedere, segna la fine di un’epoca, ma più che di un’epoca di fede, parliamo della fine di un’epoca di parole. Parole pronunciate da un uomo che, purtroppo per lui, ha finito per incarnare un'illusione più che un cambiamento. Francesco è stato l'icona della “Chiesa dei poveri”, del Papa che si avvicina ai temi sociali e alle periferie, ma a conti fatti, la sua Chiesa non ha fatto altro che rinsaldare il proprio potere su un impianto che, al di là delle parole, è rimasto intatto. Le omelie di Francesco hanno colpito, ma il Vaticano è rimasto intatto, uno Stato che si regge su un'architettura di potere che non ha nulla a che fare con la povertà che predica. La morte del Papa non è una fine, ma solo un cambio di guardia. Perché se davvero la Chiesa fosse qualcosa di più di un intricato gioco geopolitico, Francesco avrebbe smosso qualcosa di più del consenso popolare.
E intanto, tra un applauso e l'altro, i soliti protagonisti: Trump, Zelensky, il mondo intero a fare capolino nel teatro vaticano. È il consueto copione: l'ipocrisia del “cordoglio” che si mescola con la voluta solennità, ma dietro quelle facce, non ci sono cambiamenti. Il Vaticano, come ogni altro potere che si rispetti, sa benissimo che la morte di un Papa è solo una parentesi, un momento per lucrare, per riaccreditarsi e per rimodellarsi nei confini della propria atavica indifferenza ai temi che davvero contano.
E ora il grande quesito: cosa accadrà? Verrà scelto un nuovo Papa, un altro volto pubblico, un altro “riformista” che dirà di voler cambiare tutto e il contrario di tutto, ma che continuerà a governare un’istituzione che sembra sempre più simile a un club esclusivo che a una vera Chiesa. La realtà è che l’elezione del nuovo Papa è la solita operazione di marketing e di potere, che si consuma dietro porte chiuse, dove l’unico vero gioco è quello delle alleanze e degli equilibri di potere. La fede, quella vera, è un ricordo sbiadito, un dettaglio insignificante.
E così, tra le messe e le preghiere, la finzione prosegue. La Chiesa si preoccupa di sé stessa, non della gente. E noi, che guardiamo tutto con lo stesso distacco con cui si osserva un vecchio film, ci chiediamo: davvero cambierà qualcosa? La risposta, purtroppo, è no. Nulla cambierà. Al massimo ci sarà un altro Papa, che continuerà a recitare il ruolo che gli è stato assegnato. Ma il copione, quello, non cambierà mai. Perché se c'è una cosa che la Chiesa sa fare meglio di ogni altra, è nascondere la polvere sotto il tappeto.
La morte di Papa Francesco, a ben vedere, segna la fine di un’epoca, ma più che di un’epoca di fede, parliamo della fine di un’epoca di parole. Parole pronunciate da un uomo che, purtroppo per lui, ha finito per incarnare un'illusione più che un cambiamento. Francesco è stato l'icona della “Chiesa dei poveri”, del Papa che si avvicina ai temi sociali e alle periferie, ma a conti fatti, la sua Chiesa non ha fatto altro che rinsaldare il proprio potere su un impianto che, al di là delle parole, è rimasto intatto. Le omelie di Francesco hanno colpito, ma il Vaticano è rimasto intatto, uno Stato che si regge su un'architettura di potere che non ha nulla a che fare con la povertà che predica. La morte del Papa non è una fine, ma solo un cambio di guardia. Perché se davvero la Chiesa fosse qualcosa di più di un intricato gioco geopolitico, Francesco avrebbe smosso qualcosa di più del consenso popolare.
E intanto, tra un applauso e l'altro, i soliti protagonisti: Trump, Zelensky, il mondo intero a fare capolino nel teatro vaticano. È il consueto copione: l'ipocrisia del “cordoglio” che si mescola con la voluta solennità, ma dietro quelle facce, non ci sono cambiamenti. Il Vaticano, come ogni altro potere che si rispetti, sa benissimo che la morte di un Papa è solo una parentesi, un momento per lucrare, per riaccreditarsi e per rimodellarsi nei confini della propria atavica indifferenza ai temi che davvero contano.
E ora il grande quesito: cosa accadrà? Verrà scelto un nuovo Papa, un altro volto pubblico, un altro “riformista” che dirà di voler cambiare tutto e il contrario di tutto, ma che continuerà a governare un’istituzione che sembra sempre più simile a un club esclusivo che a una vera Chiesa. La realtà è che l’elezione del nuovo Papa è la solita operazione di marketing e di potere, che si consuma dietro porte chiuse, dove l’unico vero gioco è quello delle alleanze e degli equilibri di potere. La fede, quella vera, è un ricordo sbiadito, un dettaglio insignificante.
E così, tra le messe e le preghiere, la finzione prosegue. La Chiesa si preoccupa di sé stessa, non della gente. E noi, che guardiamo tutto con lo stesso distacco con cui si osserva un vecchio film, ci chiediamo: davvero cambierà qualcosa? La risposta, purtroppo, è no. Nulla cambierà. Al massimo ci sarà un altro Papa, che continuerà a recitare il ruolo che gli è stato assegnato. Ma il copione, quello, non cambierà mai. Perché se c'è una cosa che la Chiesa sa fare meglio di ogni altra, è nascondere la polvere sotto il tappeto.
Fr.Ammenti
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