L’Italia tra Ignoranza, Ritardi e Trasporti Pubblici: Il Treno Verso l'Ignoto
L’Italia è un paese che viaggia. Viaggia nel senso che, tra una stazione e l’altra, tra un governo e l’altro, tra una risata e una tragedia, continua a muoversi. Ma dove? Forse non lo sa nemmeno lei. I treni arrivano e partono, ma il più delle volte ci si ritrova con una domanda in testa: "Arriveremo mai a destinazione?" Un po’ come accade nella politica, dove il treno del cambiamento sembra essere partito, ma nessuno è sicuro di dove stia andando.
Il nostro paese, sempre più spesso descritto come "fanalino di coda" in Europa, non si ferma mai. E, ironia della sorte, non si ferma nemmeno quando dovrebbe. I ritardi sono una costante, tanto nei trasporti pubblici quanto nel processo di evoluzione della società. Che sia l’ignoranza dilagante che imperversa tra la gente o il disastro dei trasporti pubblici, l’Italia è un paese che ha fatto del "ritardo" la sua caratteristica più distintiva. Non è solo questione di treni, ma di una mentalità che ha fatto del rimandare, dell’improvvisare e dell’ignorare una forma d’arte.
I treni, un tempo simbolo di efficienza e puntualità, oggi sono diventati il simbolo del caos organizzativo che regna nel nostro paese. Le stazioni affollate e gli annunci di ritardo ci ricordano, con una puntualità degna di miglior causa, che l’Italia è un paese che vive di attese e promesse non mantenute. E il tutto si ripete quotidianamente, con i pendolari ormai abituati all’idea di una vita in attesa di qualcosa che non arriverà mai. E non parliamo neanche delle comunicazioni confuse, dove le informazioni sui ritardi sembrano inventate al momento.
Ma se il ritardo dei treni è ormai una realtà consolidata, l’aspetto ancora più grave è un altro: il ritardo della comprensione. Non parliamo solo del treno che arriva tardi o della politica che promette ma non mantiene. No, il vero ritardo di cui voglio parlare è quello mentale, quello che ha paralizzato l’intero paese, rendendolo incapace di comprendere e interpretare ciò che accade nel mondo e dentro le sue stesse mura. Se c’è un ritardo che definisce il nostro paese, è proprio questo: il ritardo nella capacità di comprendere un testo, di interpretare correttamente le informazioni che ci arrivano e di strutturare un pensiero logico che ci permetta di interagire con la realtà in maniera consapevole.
In Italia, ormai, è diventato evidente che gran parte della popolazione fatica a comprendere anche i testi più semplici. E non stiamo parlando di persone con gravi difficoltà cognitive o intellettive, ma di una fascia di popolazione ampia e variegata che, pur avendo ricevuto un’educazione formale, non riesce più a decifrare ciò che legge. Questo non è un problema isolato, ma un fenomeno sociale che coinvolge molteplici aspetti della nostra vita culturale, politica ed economica. È come se il nostro sistema educativo, invece di favorire lo sviluppo del pensiero critico e dell’analisi, avesse instillato nelle persone la capacità di leggere le parole, ma non di capirne il senso profondo. Le parole si accumulano sulla pagina, ma sembrano danzare senza formare una trama coerente, un significato condiviso.
Eppure, il problema non è che le parole siano difficili da comprendere, ma che spesso non le prendiamo nemmeno sul serio. Non c’è più quella lente di ingrandimento che ci spinge a decifrare i messaggi nascosti dietro le parole. Le informazioni arrivano in fretta, passano davanti agli occhi come fotogrammi veloci, e noi, spesso, ci accontentiamo di una comprensione superficiale, senza mai scavare a fondo. Le notizie che ci vengono trasmesse dai giornali, dalla televisione o dai social media sono cariche di contenuti, ma ciò che risulta è una visione frammentata, disorganizzata, dove il vero significato sfugge alla nostra attenzione.
Molto spesso ci limitiamo a leggere un titolo e a formarci un'opinione basata esclusivamente su quello, senza scendere nei dettagli del contenuto. Eppure, la comprensione del testo richiede uno sforzo maggiore: bisogna saper leggere tra le righe, cogliere le sfumature, riconoscere i collegamenti logici, analizzare le cause e gli effetti, mettere insieme i pezzi del puzzle che ci viene proposto. Ma in un’epoca in cui la rapidità è diventata un valore assoluto, il pensiero riflessivo è stato messo da parte. Leggere un articolo lungo e articolato sembra un’impresa impossibile, un’inutile perdita di tempo. E così, invece di farsi una propria idea sulla base di una lettura approfondita, ci si affida al giudizio altrui, alla prima impressione che scivola via velocemente, come un treno che passa senza fermarsi.
Questo fenomeno non è un accidente, ma una conseguenza diretta di un sistema educativo che, anziché incentivare la riflessione critica, ha contribuito alla creazione di una generazione di lettori distratti. Il modello educativo, infatti, si è concentrato per anni più sull'insegnamento di informazioni da memorizzare che sulla comprensione profonda. I ragazzi venivano educati a passare velocemente attraverso i libri, a fare una lettura meccanica, senza mai interrogarsi davvero sul significato di ciò che stavano leggendo. Non era importante ciò che si pensava del testo, ma ciò che si ricordava del testo. La critica, il dubbio, l’interpretazione personale erano concetti marginali. Questo ha portato a una forma di “lettura passiva”, dove il lettore non interagisce con il testo, ma ne subisce passivamente i contenuti.
Inoltre, i mezzi di comunicazione moderni non fanno altro che alimentare questa superficialità. Se una volta ci si sedeva davanti a un libro o a un giornale e si cercava di comprenderlo a fondo, oggi la lettura si è ridotta a un'operazione rapida, spesso interrotta da notifiche e distrazioni. Le notizie vengono frammentate in pezzi brevi, spesso distorti dal contesto, e le informazioni vengono consumate in piccole dosi, come se fosse un pasto veloce che non ha bisogno di essere digerito completamente. E non c'è tempo per riflettere, per pensare, per discutere.
L’educazione digitale, che avrebbe dovuto favorire l’acquisizione di nuove competenze, si è trasformata spesso in un terreno fertile per la disinformazione. Le persone, abituate a scorrere velocemente tra le pagine web, non si rendono conto che leggere un testo online non equivale a leggere un libro, e che l’approfondimento non si misura in numero di link cliccati, ma nella qualità del pensiero che mettiamo nell’elaborazione di ciò che leggiamo. Il risultato è che, anche quando ci viene proposta un’informazione valida, il nostro cervello è ormai abituato a rifiutarla, a non analizzarla, a non comprenderla, preferendo il consumo veloce, senza impegno, che non richiede né fatica né riflessione. E così, il senso di quello che leggiamo sfuma nel nulla.
Il problema della comprensione del testo è anche un problema sociale e politico. Un paese che non sa più interpretare i testi che legge è un paese che non sa più esprimere un pensiero critico. E un paese che non riesce a comprendere le informazioni che riceve, diventa vulnerabile alle manipolazioni, alla disinformazione e alla confusione. Le persone non riescono a distinguere tra una notizia vera e una falsa, tra una proposta politica sensata e una vuota, tra una critica costruttiva e una sterile polemica. E il risultato è una società in cui le opinioni si sovrappongono senza mai scontrarsi veramente, dove ogni verità è relativa, dove tutto è opinabile, ma nessuno sa più di cosa sta parlando.
E poi c’è la politica. Se i treni sono in ritardo, la politica sembra muoversi su un binario parallelo di incertezze e inconcludenza. La politica italiana è come una stazione ferroviaria deserta: molti annunci, pochi fatti, e tanti vagoni che aspettano di partire senza mai farlo. L’attuale governo, con la sua leader che si erge a figura di cambiamento, ha visto crescere tra le sue fila una legione di “esperti” che, pur di dissentire, sembrano pronti a dichiararsi antifascisti a qualunque costo, anche se talvolta nemmeno sanno cosa significhi veramente. Eppure, in mezzo a tutto questo, nessuna di queste voci riesce a portare un messaggio chiaro o, peggio ancora, a tradurre in fatti concreti ciò che promette.
La tragicommedia dei trasporti pubblici è uno degli aspetti più lampanti della nostra condizione. Siamo circondati da mezzi pubblici che si arrabbiano e si lamentano della loro stessa esistenza. I treni che non arrivano, le corse che vengono soppresse senza preavviso, gli autobus che non rispettano gli orari… Tutto sembra essere diventato una sorta di teatro dell’assurdo, dove nessuno sembra preoccuparsi troppo del fatto che le persone si affidano a questi mezzi per andare al lavoro, per studiare, per vivere. Eppure, tutto sembra andare bene, tanto che anche il ritardo sembra essere entrato a far parte della nostra identità nazionale. "Il treno è in ritardo" è ormai una giustificazione universale per qualsiasi cosa, dalle riunioni di lavoro agli appuntamenti sociali.
In sintesi, l’Italia è un paese che ha fatto della confusione la sua specialità. I treni non arrivano mai, le menti restano ferme e il disastro organizzativo sembra essere la norma, non l’eccezione. Le stazioni ferroviarie sono testimoni di un ritardo che è ormai parte del nostro DNA, un po' come l’ignoranza.
Fr.Ammenti
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