L'ombra lunga di Francesco
Siamo ancora qui, con la memoria di questo volto, di questo nome, di una voce che sapeva farsi prossima, di una presenza che ha saputo abitare il nostro tempo. È passato solo un giorno. È retorico, scontato, persino inevitabile parlare oggi, di nuovo, di Papa Francesco, pur senza avere ancora un funerale, senza sapere chi verrà dopo.
Ce lo siamo chiesti, lo abbiamo chiesto a chi, con Francesco, ha imparato a convivere. Prima, nei silenzi delle stanze vaticane, e poi, ovunque, nel cambiamento che ha impresso a ogni gesto.
Un cambiamento che ora si è interrotto, e lascia uno spazio difficile da riempire.
Perché Francesco resta un pensiero, un’eredità viva, una malinconia gentile per chi osserva, racconta, spera nella Chiesa. Non altrettanto per chi dovrà guidarla. Chi guida, chi guiderà, salvo rare eccezioni, di Francesco, non ne può più.
È comprensibile, umanamente. È stato un termine di paragone immenso, quasi insopportabile. Capace di mettere a nudo ogni distanza, ogni esitazione. Ognuno di noi, credente o no, porta con sé immagini e parole, frammenti di un rapporto con Francesco, da custodire secondo modalità personali, e quindi private.
Ma chi verrà dopo, chi sarà chiamato a prendere il suo posto tra qualche settimana, lo sa già: dovrà confrontarsi con una figura che ha saputo occupare lo spazio come pochi. Un Papa telegenico, comunicatore istintivo, capace di parlare al cuore prima che alla mente. Un uomo che ha lasciato un’impronta chiara, visibile, che non sbiadirà in fretta.
E questa consapevolezza pesa. Non solo perché la figura di Francesco è ancora troppo vicina, troppo viva. Ma perché il nuovo Papa si troverà davanti un mondo che ha imparato a vedere nel Vescovo di Roma non solo un capo, ma un volto. E quel volto resterà nella memoria collettiva a lungo.
È un vuoto, sì. È un’eredità ancora calda, sospesa. Perché Papa Francesco aveva, ha, tutto per resistere dentro una leggenda spirituale e per questo anche eroica. È stato un Papa straordinario in un’epoca fragile, iperconnessa, mediatica. È stato un uomo complesso, e per questo vero.
Secondo modalità anomale, è sembrato forte proprio nella vulnerabilità, incisivo nei gesti piccoli, potente nei silenzi. Ed è stato, infine, una figura scomoda. Ha disturbato equilibri, ha aperto processi che nessuno sa bene come portare a termine.
Basta questo per trattenere nel tempo una nostalgia pronta a riemergere. Ma anche per comprendere la preoccupazione sincera di chi, tra qualche settimana, sarà chiamato a sedersi su quella cattedra. Perché sa che davanti avrà una platea ancora innamorata di un altro. Di un uomo appena scomparso, e per questo più presente che mai.
Disponibile per un rimpianto da rinnovare all’
infinito.
Ce lo siamo chiesti, lo abbiamo chiesto a chi, con Francesco, ha imparato a convivere. Prima, nei silenzi delle stanze vaticane, e poi, ovunque, nel cambiamento che ha impresso a ogni gesto.
Un cambiamento che ora si è interrotto, e lascia uno spazio difficile da riempire.
Perché Francesco resta un pensiero, un’eredità viva, una malinconia gentile per chi osserva, racconta, spera nella Chiesa. Non altrettanto per chi dovrà guidarla. Chi guida, chi guiderà, salvo rare eccezioni, di Francesco, non ne può più.
È comprensibile, umanamente. È stato un termine di paragone immenso, quasi insopportabile. Capace di mettere a nudo ogni distanza, ogni esitazione. Ognuno di noi, credente o no, porta con sé immagini e parole, frammenti di un rapporto con Francesco, da custodire secondo modalità personali, e quindi private.
Ma chi verrà dopo, chi sarà chiamato a prendere il suo posto tra qualche settimana, lo sa già: dovrà confrontarsi con una figura che ha saputo occupare lo spazio come pochi. Un Papa telegenico, comunicatore istintivo, capace di parlare al cuore prima che alla mente. Un uomo che ha lasciato un’impronta chiara, visibile, che non sbiadirà in fretta.
E questa consapevolezza pesa. Non solo perché la figura di Francesco è ancora troppo vicina, troppo viva. Ma perché il nuovo Papa si troverà davanti un mondo che ha imparato a vedere nel Vescovo di Roma non solo un capo, ma un volto. E quel volto resterà nella memoria collettiva a lungo.
È un vuoto, sì. È un’eredità ancora calda, sospesa. Perché Papa Francesco aveva, ha, tutto per resistere dentro una leggenda spirituale e per questo anche eroica. È stato un Papa straordinario in un’epoca fragile, iperconnessa, mediatica. È stato un uomo complesso, e per questo vero.
Secondo modalità anomale, è sembrato forte proprio nella vulnerabilità, incisivo nei gesti piccoli, potente nei silenzi. Ed è stato, infine, una figura scomoda. Ha disturbato equilibri, ha aperto processi che nessuno sa bene come portare a termine.
Basta questo per trattenere nel tempo una nostalgia pronta a riemergere. Ma anche per comprendere la preoccupazione sincera di chi, tra qualche settimana, sarà chiamato a sedersi su quella cattedra. Perché sa che davanti avrà una platea ancora innamorata di un altro. Di un uomo appena scomparso, e per questo più presente che mai.
Disponibile per un rimpianto da rinnovare all’
infinito.
Fr.Ammenti
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