Sicurezza di Stato o Stato d’Insicurezza?
Decreto sicurezza?
È l’ennesima recita di un teatrino ormai logoro. Una barzelletta istituzionale che va in onda con cadenza semestrale, come le pulizie di primavera. Ogni governo — destre, sinistre, centrini, arcobaleni — ne tira fuori uno, convinto che basti un decreto-fuffa a trasformare il Paese in una roccaforte di legalità. Non ci crede più neanche chi li scrive, figurarsi chi li subisce.
Ma il bello è che non si tratta nemmeno di sicurezza. Quella è un’altra cosa. Questa è rassicurazione. È il ciuccio emotivo per l’elettore impaurito: un contentino psicologico, un Valium legislativo. Ritocchiamo due pene, mettiamo qualche aggravante qua e là, così la gente ha l’illusione che lo Stato agisca. Nel frattempo, i reati veri — rapine, corruzione, mafia — scorrono tranquilli come un fiume in piena.E la cannabis? Davvero immaginiamo le forze dell’ordine mollare l’inseguimento dei narcos per mettersi a fare le ronde nei parchi a caccia di ragazzini con lo spinello? Ma quanti sono? Li vogliamo arrestare tutti? E con che risorse, esattamente? Con i fondi della lotteria di Capodanno?
Ma non basta l’assurdità del contenuto. La forma è un insulto all’intelligenza: 14 nuovi reati e 9 aggravanti, infilati a forza in un decreto legge. Perché si sa, l’urgenza di punire dev’essere fulminea, tipo emergenza zombie. E il Quirinale? Zitto. Tutto ok, avanti il prossimo. Ma d’altronde, se sono passate per buone le genialate del governo Amato — quello che voleva punire i lavavetri — allora davvero tutto è possibile.
Lavavetri, sì. Pericolosissimi. Armati di tergicristallo e sguardo triste. La soluzione? Multe. A chi? A gente che vive di spiccioli e dorme sotto ai ponti.
E naturalmente non poteva mancare la criminalizzazione di chi protesta. Sì, perché se ti opponi a un’opera inutile, inquinante e faraonica — tipo il TAV, che continua a essere un buco nella montagna e nel bilancio — ora rischi l’arresto. Fantastico. Puniamo pure il dissenso, così chiudiamo il cerchio e apriamo il manicomio.
Il reato di omicidio nautico! Lì siamo al grottesco. Pare che finché non l’hanno introdotto, fosse perfettamente lecito travolgere qualcuno in mare aperto. Ma ora c’è il bollino blu, l’etichetta penale. Tutto più rassicurante. Come il femminicidio: prima, evidentemente, uccidere una donna era un dettaglio. Ora c’è la parola giusta, così sembriamo più civili.
Il codice penale, nel frattempo, è diventato una discarica legislativa, pieno di doppioni inutili, reati fotocopia e norme pensate per i titoli dei telegiornali. I giuristi? Si strappano i capelli. Ma tanto chi li ascolta più? Meglio un decreto acchiappavoti che un codice coerente. E poi dicono che la giustizia è lenta. Meno male: almeno ha tempo per fermarsi a ridere.
Alla fine, questi decreti sicurezza non servono a proteggerti. Servono a proteggere loro: dalla perdita di consenso, dall’accusa di immobilismo, dall’ansia di non apparire abbastanza duri con i deboli e abbastanza deboli con i forti. È la politica del manganello mediatico: colpisce dove fa più rumore, ma non dove serve.
E noi? Noi stiamo lì, a guardare il teatrino, rassegnati, tra una multa al lavavetri e un arresto a chi contesta una linea ferroviaria fantasma. Con la netta sensazione che non stiano davvero cercando di fermare il crimine, ma solo di prenderci per il culo. Ma con garbo.
In punta di decreto.
Fr.Ammenti
Commenti
Posta un commento