Sospeso tra una gravidanza annunciata,...e la fine dell'incubo

Grazie anche a M.F. per l'ispirazione 

Il grande amore della globalizzazione, quell'illusione che ci avevano venduto come destino universale, è stato formalmente dichiarato morto ieri, in una cerimonia tanto solenne quanto improbabile. E, come ogni morte che si rispetti, non poteva mancare l'annuncio pomposo: i dazi di Donald Trump, con la precisione di un colpo di grazia, hanno sancito la fine del sogno (o incubo, dipende sempre da chi racconta) di un mercato globale che si stava lentamente seppellendo sotto una valanga di protezionismo, nazionalismo e politiche economiche degne di una fiera medievale. Ma, udite udite, la sorpresa: chi ha detto che fosse davvero la fine di tutto ciò? Forse è solo una favola raccontata da qualcuno che ha bisogno di sentire il brivido del dramma. Perché, in fondo, la morte della globalizzazione somiglia più a quella di un vecchio amico che se ne va, un addio annunciato ma che tutti sanno non sarà mai definitivo. È una previsione fatta con quel giusto pizzico di ottimismo che ci fa sentire un po' più leggeri, ma che, come ogni previsione, non ha alcuna vera sostanza.
In effetti, se facciamo un passo indietro, il mondo è sempre stato globalizzato. Da quando Homo erectus ha deciso che l'Asia e l'Europa non erano poi tanto male come destinazioni turistiche, il pianeta non ha mai smesso di intrecciarsi. Non occorre un economista per capirlo: ogni grande passo che ha definito la nostra specie – dalla ruota all'arte, dalla filosofia alla scrittura, dal commercio alla scienza – è stato, in fondo, un atto di globalizzazione. E non parliamo solo di merci o di persone che si spostano. Le informazioni, quelle che viaggiano nei social e nei giornali online, sono l'unico elemento che non ha mai incontrato ostacoli. Posso sapere in tempo reale cosa sta accadendo a Shanghai o Novosibirsk, come se fossero nel mio quartiere. La globalizzazione delle informazioni è indiscutibile, implacabile, e se ci fosse una pandemia di scetticismo, quella sarebbe l'unica malattia che non possiamo debellare.
E le persone? L' emigrazione è sempre stata una costante storica. Non c'è mai stato un periodo in cui non ci fossero migranti. Anzi, oggi nessuno ha mai viaggiato tanto quanto noi, così tanto che potremmo quasi considerarla una nuova forma di turismo moderno, in cui il posto dove si vive non ha più confini definiti. E questa parte della globalizzazione, quella che riguarda il movimento dei popoli, è ancora lì, saldamente in piedi, viva e vegeta come non mai.
Poi c'è la questione delle merci. Ed è qui che si fa davvero interessante. Donald Trump, con la sua mano ferma e la sua capacità di distruggere, sta cercando di piantare l'ultimo chiodo nel cuore del mercato globale. Ma, fatemi essere chiari: chi crede davvero che i mercati, quei mercati che ci hanno insegnato che tutto ha un prezzo e che ogni crisi è solo un'opportunità travestita, si faranno fermare? È come una gravidanza annunciata: tutti sanno che prima o poi succederà qualcosa, ma nessuno è davvero pronto quando finalmente il momento arriva.
Eppure, mentre il mondo piange e si strappa le vesti gridando al disastro globale, la verità è che nessuna delle nostre paure è mai stata davvero giustificata. I mercati troveranno il loro modo, come sempre. La fine della globalizzazione, come ci ha insegnato il saggio Lamberto Dini, è solo un’altra pagina di un libro che nessuno ha mai veramente avuto il coraggio di chiudere. Presto o tardi, torneremo a sorridere, perché alla fine, anche chi si è opposto, finirà per abbracciare questa vecchia e insopportabile amica. Globalizzazione, benvenuta a casa. È stato sempre un amore che non sapevamo di volerci.

Grazie anche a M.F. per l'ispirazione 
Fr.Ammenti

Commenti

Post popolari in questo blog

II mondo ambidestro

Chi ha letto Pinocchio?

Genitore 1 batte Padre e Madre 3 a 0: cronaca di una disfatta semantica