Utopia evangelica e real politik

 Messaggio (ultimo) di Papa Francesco a Pasqua 2025: 
"Nessuna pace è possibile senza un vero disarmo. L'esigenza che ogni popolo ha, di provvedere alla propria difesa, non può trasformarsi in una corsa generale al riarmo".

Si è soliti liquidare le parole del Papa come il vaneggiamento di un idealista irrimediabilmente scollegato dalla realtà, un predicatore dell’utopia evangelica destinata alle “anime belle” che fluttuano a mezz’aria, lontane dalla fanghiglia della real politik. Poi, però, arriva la cronaca: l’incontro surreale nella navata centrale della Basilica tra Trump e Zelensky, la risposta glaciale di Putin, i negoziati infiniti sull’atomica iraniana, l’inattesa offerta di tregua quinquennale da parte di Hamas, il rilascio degli ostaggi.
Ci si accorge che il vero realista era proprio lui, il Papa. Quel medesimo che veniva sminuito come un sognatore disarmato, un nostalgico dei Vangeli incapace di confrontarsi con l’oscenità geopolitica del presente. Eppure, le sue parole, brandite con l’ingenuità di un pazzo e la lucidità di un veggente, si rivelano come l’unica lettura pragmatica del disastro. Quando parlava di bandiera bianca, non evocava la resa, ma l’inizio della diplomazia. Nessuna armata, nessun carro armato, solo la fragile, potentissima volontà di trattare.
Anche nelle sue ultime ore, quando difendeva il diritto dei popoli alla legittima difesa, non ha mai negato l’esistenza di un esercito. Ma ha denunciato, con ostinata coerenza, l’osceno paradosso di un mondo in cui il riarmo viene venduto come garanzia di pace. E mentre lui parlava della corsa agli armamenti come causa e moltiplicatore dei conflitti, soprattutto in un’epoca in cui ogni bottone può essere quello rosso, c’erano (e ci sono ancora) personaggi come Ursula von der Leyen che riescono a pronunciare, senza arrossire, l’aberrazione secondo cui “se vuoi la pace, prepara la guerra”.
No.
"Se vuoi la pace, la costruisci". La imponi al tavolo delle trattative. La bandiera bianca, per quanto sembri retorica da manuale delle giovani marmotte, è l’unico straccio di civiltà che si possa sventolare prima che tutto salti in aria.
Oggi, paradossalmente, quella che il Papa delineava come strada praticabile, il negoziato multilaterale, il coinvolgimento del Vaticano, della Cina, della Turchia, prende forma. Ma non grazie all’Europa, che continua a recitare il ruolo di spettatore pavido, né grazie agli Stati Uniti istituzionali.
È Trump, il più indigesto dei protagonisti, a muovere le pedine. Fa orrore, certo. Ma almeno muove qualcosa.
Che sia lui a tentare la mediazione è una beffa della storia. Il punto, però, è che ci stiamo lentamente accorgendo di quanto avesse ragione quel “sognatore”: non era un ingenuo. Era semplicemente l’unico che rifiutava il linguaggio sterile delle armi per cercare quello, più difficile e più urgente, della pace concreta. Il dramma non è che lo stia facendo Trump. Il dramma è che non lo stiamo facendo noi (Europa).

Fr.Ammenti

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