Sudan: la guerra perfetta. Perfetta per essere ignorata

Il Sudan è in guerra. Ma tranquilli, non preoccupatevi: è una guerra comoda, silenziosa, invisibile. Una guerra che non disturba. La guerra perfetta. Perfetta perché non ha immagini spettacolari da offrire, niente video di droni in HD, nessun presidente in maglietta militare che parla ai parlamenti europei. Perfetta perché si consuma lontano, in un continente che ci ostiniamo a trattare come un errore geografico. Perfetta perché i morti sono neri, e quindi, diciamolo senza ipocrisie, meno telegenici.
Sì, lo so, non si dovrebbe dire. Ma se non lo diciamo, continuiamo a raccontarci la favola dell’informazione equa e solidale. Non è vero. Lo sappiamo tutti: c’è guerra e guerra. C’è la guerra giusta, quella che ci riguarda, quella con le bandiere e i fronti ben definiti, quella che si segue con il fiato sospeso tra un tweet e un’analisi geopolitica da bar. Poi c’è la guerra sudanese: sporca, confusa, priva di eroi e priva di pubblico.
Dal 2023, il Sudan è ostaggio di due signori della guerra che si contendono ciò che resta del potere come sciacalli su una carcassa. L’esercito regolare da una parte, i miliziani delle RSF dall’altra. In mezzo: donne stuprate a sistematicamente, ospedali bombardati, milioni di persone costrette a fuggire. Il Sudan oggi è il più grande disastro umanitario del pianeta. Ma non lo sapevi, vero? Troppo lontano. Troppo complesso. Troppo africano.
Perché non ce ne frega niente, e nemmeno ci vergogniamo più di non fregarcene. È un’indifferenza così totale che non ha neppure bisogno di giustificazioni. Non sappiamo chi sono i buoni, quindi non ci schieriamo. Non abbiamo interessi strategici in gioco, quindi non interveniamo. Non ci sono storie da lacrimuccia su TikTok, quindi non condividiamo. E così, milioni di vite umane possono svanire nel nulla, senza disturbare l’aperitivo.
In Ucraina, ogni morto è una tragedia. In Sudan, ogni mille morti sono una nota a piè di pagina. Eppure oggi, in proporzione, la guerra in Sudan fa più vittime, crea più sfollati, devasta più strutture sanitarie di qualsiasi altro conflitto nel mondo. Ma il Sudan non minaccia il gas, non fa traballare la NATO, non siede nei G7. È invisibile. È il sottofondo statico dell’informazione: sempre lì, ma mai abbastanza forte da farsi notare.
Il colore della pelle conta. Lontani da occhi bianchi, i morti neri non commuovono. Il dolore africano è come la musica d’attesa: si sente, ma nessuno ci fa caso. E quindi il Sudan può bruciare in eterno. Basta che lo faccia in silenzio.

Fr.Ammenti

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