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Sudan: la guerra perfetta. Perfetta per essere ignorata

Il Sudan è in guerra. Ma tranquilli, non preoccupatevi: è una guerra comoda, silenziosa, invisibile. Una guerra che non disturba. La guerra perfetta. Perfetta perché non ha immagini spettacolari da offrire, niente video di droni in HD, nessun presidente in maglietta militare che parla ai parlamenti europei. Perfetta perché si consuma lontano, in un continente che ci ostiniamo a trattare come un errore geografico. Perfetta perché i morti sono neri, e quindi, diciamolo senza ipocrisie, meno telegenici. Sì, lo so, non si dovrebbe dire. Ma se non lo diciamo, continuiamo a raccontarci la favola dell’informazione equa e solidale. Non è vero. Lo sappiamo tutti: c’è guerra e guerra. C’è la guerra giusta, quella che ci riguarda, quella con le bandiere e i fronti ben definiti, quella che si segue con il fiato sospeso tra un tweet e un’analisi geopolitica da bar. Poi c’è la guerra sudanese: sporca, confusa, priva di eroi e priva di pubblico. Dal 2023, il Sudan è ostaggio di due signori della guer...

Cercare un nemico

Stanno normalizzando la guerra. La stanno ripulendo, rivestendo di parole rassicuranti, vendendola come fosse un investimento ragionevole. Ormai la guerra è diventata come una spesa extra sulla bolletta, una voce nel bilancio statale, una scelta tra cambiare auto o andare in ferie. E chi se ne frega se la Costituzione, nero su bianco, la ripudia. Quel “ripudiare” se lo stanno rigirando come vogliono, svuotandolo di senso, rendendolo un pezzo d’arredamento giuridico buono solo per le cerimonie. Sono tre anni che cercano di convincerci che preparare la guerra significa cercare la pace. È una bugia spacciata per buon senso, utile solo a chi la guerra la trasforma in carriera, potere e profitti. Intanto ci rincoglioniscono. Vogliono farci digerire il riarmo come fosse una scelta tecnica, tipo decidere se ordinare sushi o pizza. Ci rifilano questa follia come se fosse il progresso: carri armati e pale eoliche, insieme nella vetrina del futuro europeo. E Ursula von der Leyen, con lo stesso e...

Eleggeranno un Papa? No, un portavoce del nulla.

Tra qualche giorno si chiuderanno le porte della Cappella Sistina, e dentro ci sarà l’ennesima farsa travestita da sacralità. I cardinali, inamidati come lenzuola fresche di bucato, si riuniranno per scegliere il prossimo Papa.  Dovrebbe essere un successore di Pietro. Sarà, nella migliore delle ipotesi, un pupazzo diplomatico che parla di pace, clima e accoglienza come un qualsiasi segretario dell’ONU con la croce appesa al collo. Altro che Spirito Santo. Dentro quella sala aleggia semmai lo spirito di Machiavelli, quando va bene. Più spesso, quello di un amministratore delegato che deve tenere buoni tutti gli azionisti: americani, africani, progressisti, conservatori, gender-friendly, cinesi, migranti e lobby arcobaleno. Altro che pastorale: è marketing ecclesiastico allo stato puro. I candidati (dati per favoriti) sono un insulto all’intelligenza.  Pietro Parolin: un burocrate in clergyman che fa più sbadigli che sermoni.  Matteo Zuppi: un parroco da talk show, pronto ...

Le guerre non servono a capire, servono a confondere

Ci raccontano sempre la favola dei buoni contro i cattivi.  Ma la realtà non è un film Marvel.  Le guerre non nascono per la libertà, la giustizia o i diritti umani. Nascono per interessi. Soldi, potere, risorse. Punto. Iraq 2003: armi chimiche mai trovate. Risultato? Mezzo milione di morti e una regione destabilizzata. Libia 2011: “intervento umanitario”. Oggi è un campo di battaglia tra milizie e trafficanti. Ucraina? Nessuno parla seriamente di trattative. Si decide prima chi deve vincere. Poi si parla di “pace giusta”. Prendiamo proprio l’Ucraina: i leader occidentali ripetono che finirà solo con una pace giusta. Ma cosa significa, esattamente? Che uno dei due deve essere schiacciato? Che la giustizia sta solo da una parte? È giusto quando il nemico è ridotto in ginocchio e firma quello che gli diciamo noi? No. Quella non è giustizia. È vendetta travestita. La verità è che pace giusta è un’espressione utile a bloccare ogni trattativa. È un modo elegante per dire: “non si t...

Utopia evangelica e real politik

 Messaggio (ultimo) di Papa Francesco a Pasqua 2025:  "Nessuna pace è possibile senza un vero disarmo. L'esigenza che ogni popolo ha, di provvedere alla propria difesa, non può trasformarsi in una corsa generale al riarmo". Si è soliti liquidare le parole del Papa come il vaneggiamento di un idealista irrimediabilmente scollegato dalla realtà, un predicatore dell’utopia evangelica destinata alle “anime belle” che fluttuano a mezz’aria, lontane dalla fanghiglia della real politik. Poi, però, arriva la cronaca: l’incontro surreale nella navata centrale della Basilica tra Trump e Zelensky, la risposta glaciale di Putin, i negoziati infiniti sull’atomica iraniana, l’inattesa offerta di tregua quinquennale da parte di Hamas, il rilascio degli ostaggi. Ci si accorge che il vero realista era proprio lui, il Papa. Quel medesimo che veniva sminuito come un sognatore disarmato, un nostalgico dei Vangeli incapace di confrontarsi con l’oscenità geopolitica del presente. Eppure, le su...

Il teatrino del cambiamento

Oggi, mentre i riflettori si accendono su Piazza San Pietro, un evento di natura universale si trasforma nell'ennesimo spettacolo mediatico. Il funerale di Papa Francesco, nonostante l'apparente sacralità del rito, è la solita rappresentazione della finzione che ci trascina da secoli. Un Papa muore, e la gente si raduna, il mondo si ferma, i leader si accalcano per un’ora di visibilità sotto il cielo romano, ma la sostanza? La sostanza è che nulla cambierà. O almeno, nulla che davvero importi. La morte di Papa Francesco, a ben vedere, segna la fine di un’epoca, ma più che di un’epoca di fede, parliamo della fine di un’epoca di parole. Parole pronunciate da un uomo che, purtroppo per lui, ha finito per incarnare un'illusione più che un cambiamento. Francesco è stato l'icona della “Chiesa dei poveri”, del Papa che si avvicina ai temi sociali e alle periferie, ma a conti fatti, la sua Chiesa non ha fatto altro che rinsaldare il proprio potere su un impianto che, al di là d...

Dove le strade non hanno nome

È affascinante, eppure profondamente inquietante, come si possa determinare la religione e il reddito di una persona semplicemente conoscendo la via in cui abita, l’indirizzo diventa una diagnosi sociale, un’etichetta non richiesta, un marchio invisibile che comunica chi sei e cosa puoi aspettarti dalla vita, non tanto per ciò che fai, ma per dove dormi la notte. Questo meccanismo non è nuovo, ha radici antiche, già nell’antica Roma le classi sociali erano chiaramente distribuite nello spazio urbano, i patrizi abitavano nei colli, tra ville con vista e giardini privati, mentre i plebei si affollavano nelle insulae fatiscenti, dove il fuoco, le malattie e la miseria erano compagni quotidiani, era una geografia del privilegio, disegnata con precisione crudele. Nel Medioevo, la religione e la ricchezza si intrecciavano nei quartieri delle città europee, dove le comunità ebraiche venivano confinate nei ghetti, spesso murati e chiusi con cancelli durante la notte e, nel frattempo, i nobili ...